Credit NASA

Credit NASA

Una delle domande che mi viene posta più frequentemente è: ”Voi astronauti non avete paura?” È una domanda che mi sorprende sempre, e alla quale è difficile dare una risposta in poche parole, una risposta che sia pensata e sensata.

La tentazione di rispondere “no” è grande, tutti tirerebbero un bel sospiro di sollievo e si potrebbe andare avanti, sapendo che nel mondo esistono uomini e donne fuori dal comune, senza macchia e senza paure, che fanno gli astronauti. Ma i superuomini non esistono – ed è meglio così.

Il mio umile parere è che solo gli stolti dicono di non avere mai paura – e mentono nel dirlo. La paura è un insieme di sensazioni, un meccanismo primordiale che il nostro corpo ha sviluppato in millenni di evoluzione per salvarci la vita. Sarebbe un vero spreco non utilizzare un tale strumento. Ma come ogni strumento, può essere utilizzato bene o male: un bisturi, nelle mani esperte di un chirurgo, può salvare una vita; lo stesso bisturi, utilizzato senza le necessarie competenze e conoscenze, può essere letale.

Allo stesso modo, la paura ha un effetto fisiologico che può essere utilizzato per rispondere al meglio in situazioni potenzialmente critiche. Il nostro battito cardiaco aumenta, portando più sangue ad affluire nei muscoli, per renderli pronti a reagire; l’adrenalina che viene rilasciata ci rende “più forti” e meno sensibili a dolori e fatica. La paura è una forma di stress che può essere incanalato e convogliato, nella sua forma di “eustress” – ovvero uno stress positivo che avvicina le nostre performance al picco massimo raggiungibile. L’importante è non permettere che degeneri in “distress” – il panico, che ci immobilizza e rende incapaci di reagire.

Credit Aeronautica MilitareIl modo migliore per imparare a gestire la paura è la preparazione, l’addestramento, lo studio. In fondo, è solo ciò che non conosciamo che ci fa paura; per cui nel caso del volo, orbitale o suborbitale, avere una perfetta conoscenza del proprio mezzo e delle procedure è il modo migliore per eliminare una grossa sorgente di possibile paura. L’esperienza è poi l’unico, indispensabile e insostituibile modo per riuscire a risolvere situazioni alle quali non siamo addestrati – perché è impossibile, e non sempre utile, cercare di prevedere tutto.

Un pilota, militare o civile, sa bene che il volo è potenzialmente rischioso. La probabilità che qualcosa di grave accada è molto bassa, ma le conseguenze possono essere disastrose: il lavoro del pilota e di tutto il team che lavora insieme a un equipaggio è di minimizzare questo rischio. Lo stesso vale per ogni altro ambiente lavorativo, incluso quello astronautico. Se torno indietro nel pensiero ad alcuni dei momenti a più alto rischio di questa esperienza, mi rendo conto che la paura è un sentimento forse presente ma che giace silenzioso senza disturbare: durante il lancio, la mia concentrazione era focalizzata sulle procedure e sugli strumenti; durante l’attività extraveicolare, la mia attenzione era completamente assorbita dal momento vissuto. E in entrambi i casi, tutto era sottolineato dalla fiducia nella scienza degli ingegneri che hanno costruito le macchine che noi utilizziamo, e nelle squadre di uomini e donne che, da lontano, ci sostengono e supportano come un formidabile tetragono.

Luca familyAltre domande dalle risposte complesse sono tutte quelle che riguardano la famiglia. Prima di essere un astronauta, prima di essere un ufficiale dell’Aeronautica Militare, io sono un figlio, un marito e un padre. Da qualche parte sulla Terra che scorre sotto di noi a 28000km/h, c’è una madre il cui cuore ha palpitato a ogni decollo, a ogni sortita e a ogni atterraggio; un padre che con stoica forza nasconde nel sorriso la sua preoccupazione; una moglie, che ha non ha scelto il mio mestiere, ma mi nasconde ogni quotidiana preoccupazione per regalarmi un volto disteso; e due bimbe che non possono ancora comprendere perché il loro papà non torna a casa ogni sera come quello dei loro amici. Sono consapevole di tutto ciò. Ma quando penso ai miei colleghi piloti, eroi di ogni giorno impiegati in missione nei teatri più pericolosi del mondo, la mia prospettiva si ridimensiona, e ritorna la coscienza del mio privilegio. Al confronto del loro sacrificio ogni mio sforzo è insignificante, è dovuto. È il mio indispensabile omaggio a chi ogni giorno, lontano dalla propria terra e famiglia, compie il proprio dovere, in terre di orrore e altri demoni, senza chiedere nulla in cambio, neanche la riconoscenza del proprio Paese.