Spheres Luca 2Mentre mi appresto a effettuare un nuovo esperimento sull’ISS non posso fare a meno di pensare, ancora una volta, al famosissimo film “Guerre Stellari”. In una scena entrata nell’immaginario collettivo della mia generazione, il giovane Luke Skywalker si addestra a utilizzare i suoi poteri grazie a un piccolo, simpatico droide, che fluttuandogli di fronte lo costringe a reagire velocemente con la sua “spada laser” per evitare di essere a sua volta colpito da laser sparati dal robot.

La stessa scena deve aver colpito un professore del MIT di Boston, quando chiese ai suoi studenti di realizzare quel piccolo Robot. E oggi io mi appresto a lavorare con due dei tre piccoli droidi che abbiamo a bordo nell’ambito dell’esperimento SPHERES. In particolare, il programma di sperimentazione prevede una serie di esperimenti in cui uno dei due droidi, di colore rosso (e che quindi chiamo, con uno sforzo di fantasia non eccessivo, Rosso), effettuerà in maniera indipendente tutta una serie di manovre intorno all’altro droide, di colore blu (e che quindi chiamo Blu!). Rosso riceverà il “piano di volo” attraverso uno smartphone collegato al suo cervello elettronico, e il mio compito consiste nel preparare lo spazio di lavoro, inviare i comandi attraverso un’interfaccia su un computer, e monitorare l’esecuzione del piano di volo, per intervenire manualmente se richiesto. L’interfaccia è intuitivo e vagamente familiare, perché simile a quello che ho utilizzato per controllare il lavoro di K10, il piccolo rover esploratore che fa parte di un altro esperimento.

I due droidi, grandi come un pallone e di una forma poliedrica che sarebbe piaciuta a Leonardo da Vinci, utilizzano CO2 ad altra pressione per i loro piccoli motori, una serie di ugelli posizionati strategicamente per permettere loro di muoversi in tre dimensioni in un volume delimitato da cinque antenne ricetrasmittenti che comunicano con i sensori dei piccoli robot. Il primo test serve a controllare il corretto funzionamento dei motori, e il ritmico “click-click” dovuto all’apertura e chiusura delle valvole dei motori diventerà un suono molto familiare durante le prossime ore di test.

Posiziono i due robot al centro del volume loro dedicato, cercando per quanto possibile di lasciarli perfettamente immobili. Ma quando do il via all’esecuzione del piano di volo, il droide blu, che sarà il target, si sposta accompagnato dal ticchettio dei suoi motori verso un punto nello spazio che per lui è il vero centro del volume, mentre il droide rosso attende con robotica, infinita pazienza che il suo compagno sia pronto. Non appena Blu è in perfetta posizione (ed è incredibile osservare il piccolo droide assolutamente immobile in un ambiente in cui tutto è in costante movimento) Rosso comincia a lavorare eseguendo il piano di volo, che lo porta a orbitare intorno al compagno seguendo una serie di punti di navigazione nello spazio tridimensionale. La traiettoria è visibile attraverso l’interfaccia, che in tempo reale mi mostra anche le posizioni relative dei due droidi: inoltre la telecamera dello smartphone mi permette di vedere ciò che vede il robot rosso mentre esegue la sua ispezione. Rosso completa la manovra perfettamente, e il team che da terra segue l’esperimento mi dà l’OK per andare avanti con il piano di sperimentazione. I 90 minuti che seguono vedranno Rosso seguire percorsi tridimensionali sempre più complessi attorno al compagno, e i miei interventi sono veramente sporadici, limitati ai pochi casi in cui il piano di volo non viene recepito correttamente dai robot.

Spheres Luca 3Ma Rosso e Blu non verranno utilizzati per addestrare Luke (o Luca, purtroppo…). L’idea di poter controllare dei robot nello spazio può sembrare semplice (e non lo è), ma quando si parla di controllare diversi robot che si muovono in maniera coordinata l’uno rispetto all’altro il problema si complica esponenzialmente. Nel caso che ho descritto oggi, Blu era in grado di restare perfettamente immobile al centro dello spazio a lui assegnato, e la traiettoria di Rosso era in tal modo libera da ostacoli. Ma se Blu avesse fallito anche di poche decine di centimetri, Rosso avrebbe impattato contro le pareti della Stazione. Durante un esperimento questo non è certo un problema, ma in un ambiente operativo un rischio del genere potrebbe essere inaccettabile. Questo tipo di esperimenti sono fondamentali per comprendere come si possa in futuro utilizzare dei robot per effettuare tutta una serie di mansioni per le quali sarebbe altrimenti necessario impiegare l’uomo. Dall’ispezione delle superfici esterne di un’astronave, all’analisi dell’atmosfera o della ventilazione, un robot in grado di muoversi autonomamente sarebbe estremamente vantaggioso in future esplorazioni. Il vantaggio di utilizzare uno sciame di piccoli robot consiste nel fatto che questi ultimi utilizzerebbero capacità collettive per fare il lavoro di un grosso robot: tutto ciò che è voluminoso e pesante è estremamente difficile da portare in orbita, mentre dei piccoli droidi potrebbero essere inseriti in spazi altrimenti non utilizzabili e viaggiare a costi molto ridotti. Si potrebbe perfino pensare di lanciare i pezzi di un’astronave in orbita insieme a piccoli robot pronti ad assemblarla in maniera più o meno indipendente!

Sembra fantascienza, ma poco più di cento anni fa lo era anche volare. Può sembrare estremamente futuristico – ma il primo giorno del futuro è domani.