Credits: NASA

12 ore fa ero sulla Terra. Adesso la guardo da 400km, a 28000kmh.

Dopo aver lasciato il complesso abitativo che ha ospitato il mio equipaggio per le ultime due settimane di quarantena, tra una folla di parenti, amici e curiosi che ci salutavano con emozione (applausi, foto, risa, un gruppo che canta “Volare”), mi ritrovo ancora una volta a indossare la mia tuta spaziale Sokol, come ho fatto decine di volte in simulazione. Solo che questa volta si parte.

Non sento alcuna differenza: sembra strano, ma mi sento estremamente calmo, i pensieri sono focalizzati – ma so di essere felice, e quando vedo la mia famiglia, dall’altro lato del vetro, mia moglie, le mie figliolette e i miei genitori, quelli di mia moglie, dico loro che è un momento in cui bisogna festeggiare. Non li vedrò per i prossimi sei mesi, ma non riesco a intristirmi – la mia Soyuz mi aspetta.

Gli autobus , gli stessi che hanno portato tutti gli equipaggi della ISS sin dall’ inizio della sua costruzione, ci lasciano a circa 100 metri di distanza dal razzo. Illuminato da decine di fari sembra risplendere, ed è uno spettacolo imponente – glorioso. Mentre saliamo sul traballante ascensore che ci porta fino alla parte più alta, non posso fare a meno di notare il ghiaccio che ha ricoperto i booster, pieni di carburante talmente freddo da sublimare l’umidità nell’aria.

Credits: NASA

In un attimo è il momento di entrare nella navetta e posizionarci nei nostri sedili. Come sempre, sono il primo a entrare. Accendo il pannello di controllo e i computer, stabilisco il contatto radio e sono subito nel mio ruolo, nel mio mondo. In questo momento non esiste null’altro, così come, da pilota, nel momento in cui chiudevo la calotta tutto spariva, e mi sentivo uno con il velivolo.

Iniziano i lunghi controlli, ma tutto è perfettamente in ordine. La TMA09-M è pronta, e la sento vibrare attorno e sotto di me, di una vita tutta sua.

Poi il conto alla rovescia, meno drammatico di quello che si può immaginare: la voce dell’istruttore che ci ha seguiti sin dal primo giorno conta gli stadi di accensione del motore principale… poi una parola, in russo, “поехали!”, “andiamo!”, e il motore prende vita e rugge, vibra, e sentiamo la spinta montare. In pochi secondi siamo al picco massimo di spinta, e tutto procede a perfezione, ogni evento esattamente al momento programmato. Una brusca decelerazione al distacco del secondo stadio, poi di nuovo in avanti all’accensione del terzo e poi… il silenzio perfetto, che dura solo un secondo perché noi iniziamo a ridere mentre alla radio sentiamo le celebrazioni del centro di controllo. Siamo in orbita. Per Karen è la seconda volta, per Fyodor la quarta. Ma per me, per me è la prima volta e voglio ricordarlo per sempre, chiudo gli occhi per ripetermelo (“sono in orbita!”) prima che le operazioni di correzioni orbitali comincino e sia di nuovo impegnato.

Credits:NASA

Nel corso delle successive orbite controlliamo l’accensione del motore principale per sei correzioni, ma tra un impulso e l’altro riesco a rubare uno sguardo fuori dal mio oblò e a guardare la Terra. Sapevo che mi avrebbe stupito, sorpreso, ma è impossibile immaginare la sensazione di incanto che lascia senza fiato. Ed è impossibile da descrivere.

Dopo la sesta correzione, le attività a bordo sono frenetiche, in preparazione dell’avvicinamento e dell’attracco. Ma la TMA-09M non cede un istante, e si comporta egregiamente, portandoci in automatico sino a un aggancio perfetto.

Credits: NASA

Adesso la stanchezza e le emozioni accumulate cominciano a farsi sentire (non dormo da 22 ore, e non è stata una giornata come le altre…), ma non voglio perdermi neanche un istante di questa prima giornata e mi costringo a restare sveglio durante tutte le operazioni di controllo di tenuta stagna. Ma un’ora passa come un istante, ed è già il momento di aprire il portello per entrare nella Stazione, la mia casa per i prossimi 6 mesi.

Quando vedo l’equipaggio della ISS, la mia gioia è incontenibile… ma questa, è forse già

un’altra storia.