Oggi è un giorno speciale. Sono quasi 6 mesi che aspetto questo momento, e l’ho pregustato nella mia mente ogni volta che ci pensavo. Perché oggi è il giorno in cui per la prima volta entrerò nella MIA Soyuz.

Ed è veramente la mia: costruita esclusivamente per il mio volo, con il mio sedile fatto su misura per me – ne conosco a memoria ogni dettaglio e sono in grado, ad occhi chiusi, di trovare ogni pulsante, ogni leva, ogni valvola. Perché sebbene sia la prima volta che vi entro, ho passato centinaia di ore ad addestrarmi dentro un simulatore in tutto e per tutto identico alla vera astronave.

La sola parola “astronave” mi fa venire l’acquolina in bocca, ma chi sta pensando a un “X-wing fighter” o a Star Trek resterebbe forse deluso. La Soyuz è una navetta solida e sicura, che ha già fatto centinai di voli, ma non ha un aspetto futuristico: la sua bellezza è “ruvida”, meccanica. Forse più simile a come immagino un mini sommergibile. Ma quando la vedo per la prima volta, nei miei occhi ha le curve aggressive di una Formula 1 e il fascino accattivante di una superbike.

Come copilota, ho un privilegio unico: sono il primo a entrare nella navetta e a prenderne, se così posso dire, possesso. Devo ammettere che provo una fortissima emozione mentre mi “calo” dal modulo abitativo БО (si pronucia Be-O), attraverso il portello stagno, dentro il modulo di comando CA (pron: Ess-A): fra pochissimi giorni, che si avvicinano sempre più rapidamente, la 09M mi porterà in orbita prima, e poi sulla ISS!

Tutti a bordo la Soyuz per alcuni controlli

Mi posiziono nella mia postazione, e immediatamente sono in un ambiente che sento mio. Per adesso tutto è spento, ma so che dietro i pannelli per adesso dormienti del Нептун (Neptun), il pannello di controllo, giace il cuore-cervello del KC-020, il computer analogico di rientro. Fra poco saranno illuminati, e la navetta pulserà di vita sua. Ancora una volta mi sorprende quanto tutto mi sia familiare.

Insieme a Karen e a Fyodor controlliamo ogni dettaglio: per adesso siamo in tuta da volo, ed è più semplice comunicare, muoversi, guardarsi. Tutto è perfettamente in ordine, e dopo soltanto 45′ siamo pronti a uscire. Ma è per poco: mentre l’equipaggio di back-up ha un’opportunità per fare il proprio controllo, il nostro equipaggio si prepara a indossare lo scafandro Sokol.

Dopo un’ora circa, ancora una volta sono il primo a “scendere” nella capsula e a sistemarmi nella mia postazione. Il tecnico lega e stringe l’imbracatura: una cintura a 4 punti più due cinghie che bloccano le ginocchia. Dopo circa 20′ siamo tutti e tre pronti: al comando di Fyodor, Karen attiva il pannello generale di controllo, e in sequenza Fyodor e io attiviamo i nostri computer. La navetta prende vita, e iniziamo la sequenza di prove radio, seguita da alcuni controlli nominali. Mentre sono legato, faccio anche alcune prove per verificare di essere in grado di raggiungere tutti i comandi. Comunicare adesso è molto più difficile: a causa dell’attrezzatura di sopravvivenza, installata intorno e sopra a noi, non posso vedere Fyodor, e non posso muovermi perché sono legato. Devo concentrarmi per seguire le sue istruzioni.

In tutto i controlli e le verifiche durano circa un’ora e mezza, e le mie gambe cominciano a sentire la fatica. Manca solo l’ultimo controllo, che prevede il sollevamento del sedile per ammortizzare l’impatto al momento dell’atterraggio. Una volta effettuato il test, spegniamo tutti gli apparati e poi, in sequenza, i tecnici tirano fuori Fyodor e Karen. Per qualche minuto sono solo e in silenzio totale. Sebbene scomodo, cerco di memorizzare ogni sensazione, ogni pensiero – non avrò altre occasioni a disposizione: la prossima volta che sarò seduto qui, nella mia tuta spaziale, sarà per il lancio.